È finito quest’anno scolastico, il quarto da insegnante. È stato l'anno del mio primo caso complicato: quell'alunno che non puoi lasciare senza contatto visivo nemmeno per un istante, quello che scappa all'improvviso, quello che tutta la scuola conosce, quello del quale tutti temono l'imprevedibilità. Io e L. siamo stati per mesi una cosa sola e non è stato per niente facile.
L. voleva sempre tenere la sua mano nella mia. Non rispondeva mai alle domande dirette, non a voce almeno. Stringeva la mia mano, la tirava, mi torceva le dita quando si arrabbiava in un modo così imprevedibile che difendersi era impossibile. Dopo la prima settimana avevo i polsi a pezzi, tornavo a casa esausta e affranta. Non riuscire a trovare un canale di comunicazione con lui mi distruggeva.
È stato un percorso lento, un cammino di chilometri macinati insieme, mano nella mano, di corridoi e scale di una scuola immensa, e alla fine del cammino cominciato nel silenzio, c’era L. che parlava con tutti.
Durante gli ultimi giorni di scuola, L. era spesso assente e io venivo chiamata a fare sostituzioni. Gli alunni in classe erano sempre pochissimi e io accordavo loro il permesso di ripetere per le interrogazioni.
Di solito, in queste occasioni, per ingannare il tempo mi capita di frugare sotto la cattedra in cerca di qualche libro di testo da leggere. È stato così che, in una antologia abbandonata, ho trovato un racconto di Michele Mari, ed è stato così che ho comprato “Euridice aveva un cane”, il libro che lo conteneva.
“Tutto il dolore del mondo” è un racconto che parla di un uomo che passa davanti alla vetrina di un negozio e vede in un acquario un pesciolino in evidente difficoltà. Da quel momento comincia una lotta surreale per salvare il pesciolino, tra l'indifferenza della commessa e gli sguardi compassionevoli di chi lo prende per pazzo.
Ma in quel pesciolino lui vede Tutto il dolore del mondo e anche tutta l'indifferenza.
Indifferenza e dolore Mari li racconta proprio bene. Mi ha fatto pensare agli sguardi compassionevoli dei colleghə in cui ci imbattevamo io e il mio compagno di viaggio. In fondo anche loro comunicavano senza parlare. Dicevano a me quanto sembrassero inutili tutti quegli sforzi e riservavano a L. la loro commiserazione.
Ma mi ha anche ricordato quello che L. riusciva a passarmi stringendomi la mano quando aveva una crisi.
Cosa si prova a sentire Tutto il dolore del mondo?
Si sente un gran peso sul petto ed è una sensazione che non va via, che ti porti a casa, che ti tormenta nel weekend, che ti fa venire voglia di piangere perché non sei in grado di alleviare il dolore dell'altro che ormai è anche il tuo.
Ma L. non era un pesciolino che nuotava nell'indifferenza, e a fine anno i compagni avevano ingaggiato una gara a chi riusciva ad avere più risposte da lui, a chi poteva sostituire la sua mano con la mia, a chi interpretava le frasi dette da L. alla velocità della luce.
Durante quest'anno scolastico, con le lezioni settimanali e la formazione fatta nel weekend, leggere è stata un'impresa. Ho preferito libri brevi e racconti, qualcosa che potessi leggere senza perdere il filo. Breve non sempre significa leggero. I racconti di Mari sono dei lampi di genialità, ne leggi uno e poi devi fermarti a pensarci. Un po’ si ride e un po’ si piange, c'è tanta tenerezza sparsa, c'è una crudeltà spiazzante. Eppure c’è anche tanta gioia nascosta: nel libro che ho tra le mani e negli infiniti corridoi di una scuola.
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