Qualche anno fa ho cominciato a partecipare ad alcuni incontri di lettura. Passare da un’attività totalmente solitaria alla condivisione è stato bellissimo, almeno finché non mi sono resa conto con orrore che, nonostante leggessi un buon numero di libri, appartenevo allo status di lettrice ignorante.
Leggevo senza farmi troppo domande, mi concentravo solo sulla storia, tralasciando tutto il resto. Se ad un mese dalla fine di un libro mi avessero chiesto se la narrazione fosse in prima o terza persona, ecco… io non avrei saputo dirlo.
La vera voragine si aprì quando, durante un gruppo di lettura online / covid edition, si cominciò a dibattere sulla qualità della traduzione di un romanzo. Ma questi sono seri? pensai. Che differenza potrà mai fare?
Da allora però cominciai a far caso a certe frasi e modi di dire trovati nei libri tradotti. Quando mi sembravano troppo familiari e vicini alla cultura italiana li confrontavo con la versione originale e spesso ne rimanevo sorpresa.
Poco dopo si presentò l’occasione di partecipare ad un progetto di traduzione collettiva delle poesie di W.S. Merwin lanciato da Alessandra Zengo. Chiesi che mi fosse assegnata la poesia più semplice, si intitolava “Now it’s clear”.
Google traduttore proponeva delle versioni talmente irrealistiche che lo abbandonai velocemente. Continuavo a rimuginare sugli stessi versi finché ne venni a capo… più o meno…
Quando arrivò il momento di conoscere i lavori degli altri partecipanti il confronto fu impietoso: la mia versione era a dir poco rigida. Now it’s clear che cos’è la traduzione! Di certo non quella cosa triste che avevo prodotto io.
Ho tirato fuori questi ricordi perché lo scorso settembre sono stati pubblicati due libri che aspettavo da un po’: Fra le righe, un saggio sulla traduzione di Silvia Pareschi e Tell me everything di Elizabeth Strout. Ho trovato in ognuno degli indizi che mi permettevano di leggere meglio l’altro.
È da qualche anno che leggo i libri di Elizabeth Strout in lingua perché non ho la pazienza di aspettare i tempi dell’Einaudi per sapere cosa succederà a Lucy Barton. Pur non avendo delle eccellenti competenze nella comprensione, il vantaggio di conoscere bene l’autrice mi agevola notevolmente.
In fondo è l’operazione inversa a quello che sosteneva Calvino e cioè che “si legge veramente un autore solo quando lo si traduce”.
Leggo con il Kindle che mi permette di ricorrere al traduttore se sono in difficoltà. Quando finalmente viene pubblicata in Italia la traduzione rileggo il libro e mi stupisco ogni volta.
La prima reazione è la sensazione di perdere inevitabilmente qualcosa. Leggo e penso: “ma non è vero, non era scritto esattamente così!”
Nella versione americana mi sembra di stare su una scogliera del Maine a guardare le reti per le aragoste mentre vedo Elizabeth Strout che fa fatica a ricordare le parole e cerca di afferrarle con quel suo continuo gesticolare.
In quella italiana però, tutto è più vivido e più poetico.
Mi è successo con l’incipit di “Oh, William”, sempre di Strout, che nella traduzione di Susanna Basso è meraviglioso.
Vorrei dire alcune cose sul mio primo marito, William.
William ha avuto molte tristezze - è successo a tanti di noi, ma vorrei ricordarle lo stesso, lo sento quasi come un dovere; oggi William ha settantun anni.
Quanto “William ha avuto molte tristezze” è più bello di “William has lately been through some very sad events”? Secondo me tantissimo.
Tutto quello che ho scritto finora è spiegato molto bene da Silvia Pareschi nel suo saggio “Fra le righe”. Pareschi è la voce italiana di Franzen, Colson Whitehead, Zadie Smith, ma io l’ho conosciuta con “I jeans di Bruce Springsteen”, abbagliata dall’aura che può avere una bloodsister che vanta una ventennale amicizia con Franzen.
Il mondo della traduzione è per l’85% composto da donne e per questo Silvia Pareschi nel libro usa il femminile sovraesteso. Racconta molti aneddoti divertenti, ma soprattutto fa di Fra le righe un laboratorio in cui far entrare il lettore per spiegargli cosa avviene nel passaggio da una lingua ad un’altra.
Come si traducono le parolacce? E i dialetti? Cosa c’entra Proust con l’insonorizzazione? Cosa si nasconde fra le righe di un classico come “Il vecchio e il mare”?
Una delle cose che mi ha affascinato di più è stata la ricerca della soluzione dell’ inghippo che spariglia le carte e dà un senso nuovo a una storia conosciutissima.
“A volte Hemingway dissemina qua e là degli indizi, piccole boe per segnalare che la parte sommersa dell’iceberg si trova appena sotto la superficie, alla portata di un lettore attento che faccia lo sforzo di raggiungerla.”
Il libro scorre veloce e lascia dietro di sé tanti titoli da leggere. Ho comprato e letto il saggio Sul tradurre di Susanna Basso, Mondo scritto e mondo non scritto di Calvino e anche Dire quasi la stessa cosa di Umberto Eco. Sono nel tunnel della traduzione e mi piace tantissimo!
Sì… quella cosa che mi era sembrata automatica come copiare e incollare un paragrafo su Google translate ora ha tutto un altro senso e Silvia Pareschi me lo spiega con chiarezza nell’ultimo capitolo, tutto dedicato all’intelligenza artificiale. Il confronto tra alcune traduzioni umane e le versioni corrispondenti di DeepL, Systran e Bing genera momenti quasi comici benché prefigurino uno scenario tutt’altro che divertente.
Cosa sarà della traduzione della letteratura?
È possibile che solo gli autori maggiori saranno affidati a traduttori e traduttrici umani e tutto quello che non appartiene alla sfera dei grandi sarà delegato all’automatismo dell’AI, generando fasce di mercato di diversa qualità.
Cosa mi ha lasciato questo libro? Tantissimo! Soprattutto la voglia di prestare più attenzione, di “farci caso”, di cercare davvero Fra le righe. Magari anche di leggere meno, ma meglio. Altrimenti si corre il rischio di diventare tuttologi ma un po’ zucconi, proprio come l’AI.
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Noi ci vediamo tra un mese o poco più.
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