La libreria è il mio posto felice.
Come Ismaele prendeva il mare ogni volta che atteggiava le labbra al torvo, così io entro in libreria.
Non sempre compro qualcosa, spesso sono momenti rubati e veloci durante i quali non ho nemmeno il tempo di sfogliare un libro, ma mi basta guardare le copertine per star bene. Scorrere i dorsetti Einaudi, accarezzare le edizioni Aboca con la loro carta liscissima, leggere le motivazioni dei libri consigliati da lettori e lettrici della libreria mi è sufficiente per stare meglio.
Non parlo con nessuno, non chiedo consigli perché la lista dei desideri è fin troppo lunga, figuriamoci se ne ho bisogno, ogni libro ne porta con sé altri cinque e io so benissimo cosa mi piace e cosa detesto.
Così mi nascondo tra gli scaffali e se vedo arrivare un libraio gli do prontamente le spalle.
Chissà cosa mi vuole vendere e poi parlare di libri così, faccia a faccia, che sconcezza, per me che coprirei volentieri le copertine dei libri che porto in metro, come i giapponesi. È cosa troppo intima la lettura. Va bene scriverne qui, parlarne con qualche direct su instagram ma insomma, non ci allarghiamo.
La libreria vicino casa ha chiuso e così ho dovuto spostarmi.
Decido di andare nella libreria di un centro commerciale che, nonostante il luogo ameno, si presenta curata. Ci sono un sacco di titoli che mi attirano messi in evidenza.
Serve aiuto? Mi chiede il libraio.
No.
Sicura? Si.
Ok, vado via.
Torna dopo 3 minuti. Non ti voglio disturbare ma mi dici cosa ti piace leggere?
E così rispondo: mi piacciono tante cose…tipo la letteratura americana (meglio essere vaghi così si stanca e se ne va).
Il signor libraio comincia a saltare da uno scaffale all'altro, proponendomi titoli e autori che non conosco. Devia verso la letteratura francese ma solo perché “questo lo devi assolutamente leggere” mi dice con sincero entusiasmo.
Hai visto, spocchiosa saputella? Forse essere sempre sprucida ti ha fatto perdere delle cose.
Quando, qualche settimana fa, sono entrata in una nuova libreria, la breccia ormai era aperta.
Salve. Non le voglio vendere niente, ma devo farle un test. Si metta di fronte a me e le dico qual è il libro che fa per lei.
Il libraio mi osserva, si allontana e si dirige verso gli Adelphi. Prende “Follia” di Patrick McGrath e comincia a raccontarmelo, afferra “Le braci” di Marias e inizia a parlarmene rapito. Altro che libri messi di taglio su tik tok per aumentare l’hype! Ho di fronte un attore consumato e un recensore esperto.
Il giro è proseguito in una libreria molto in voga, in un posto meraviglioso, enorme e instagrammabile. Nessuno si è avvicinato, i libri esposti erano più o meno i soliti, non ho comprato nulla.
Entro nelle librerie anche all’estero. Nell'ultimo anno ne ho vista un russa a Parigi che era uno splendore con libri incomprensibili dalle copertine costruttiviste e un’atmosfera bellissima, sono rimasta incantata da una libreria in una chiesa gotica a Maastricht e ho rovistato nei contenitori di libri usati da Shakespeare and Company.
Allora ho comprato le memorie di Sylvia Beach, la santa patrona dei librai e delle libraie, la fondatrice della prima Shakespeare and company negli anni Venti, con l’insegna dipinta a mano col faccione del buon William che puntualmente le rubavano e la scritta BOKSHOP orfana di una O. Mi ha fatto pensare all’atmosfera di Midnight in Paris di Woody Allen, con Gertrude Stein che faceva il bello e cattivo tempo nel mondo dell’arte, la porta del negozio che si apriva al passaggio di Hemingway, James Joyce poggiato allo stipite che giocava col suo bastone e manoscritti preziosi che si mischiavano ai libri dati in prestito.
Sylvia Beach è stata l’editrice dell’Ulysses di James Joyce e il racconto dell’impresa titanica che ha dovuto compiere per pubblicarlo e diffonderlo è sicuramente la parte più bella del libro. Ora che la libreria non esiste più e la sua eredità è stata raccolta negli anni Sessanta da un nuovo libraio e da un nuovo negozio, la sua memoria resta forte nell’immaginario di lettori e lettrici, e va molto oltre l’idea romantica della figura della libraia che sfoglia pagine sorseggiando un caffè. Sylvia Beach ha guadagnato poco e lottato molto come solo una malata di letteratura poteva fare.
Mi piace pensare alle librerie come a delle storioteche, dei posti nei quali si va a comprare delle storie. Il fatto che ci sia qualcuno che quelle storie le conosce e può consigliartele cercando di cogliere i tuoi interessi è una cosa che mi stupisce sempre.
Perché, come scrive Sylvia Beach:
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