C’è una canzone dei Cream che occupa un posto fisso in ogni compilation che faccio. Si intitola “Anyone for tennis?” e parla di maghi, topi, elefanti, gelati che si sciolgono e tutta una serie infinita di stranezze.
Nel video Eric Clapton e i Cream camminano in un bosco di alberi di prezzemolo brandendo delle racchette per colpire oggetti volanti immaginari.
Entrare nelle prime 200 pagine di Infinite Jest è come camminare nel bosco di prezzemolo dei Cream, racchette comprese.
Da qualche tempo la lettura è diventata per me un’attività frenetica alla conquista di ritagli di tempo. Tendo a distrarmi e a perdere dei pezzi e per citare David Foster Wallace, “il Divertente si è ormai staccato dal Troppo”.
Così la scorsa estate ho deciso di intraprendere questo viaggio lungo 1400 ingarbugliatissime pagine che mi costringeva a fare un esercizio di attenzione.
Infinite Jest ha un inizio psichedelico. Non ci sono riferimenti temporali certi, non si capisce chi racconta cosa e la faccenda si complica quando entrano in gioco le famigerate note: minuscole e inserite alla fine del libro sono il motivo per il quale moltə lo abbandonano. Si fa fatica ad andare avanti e anzi, si è costretti a tornare spesso indietro per cercare un nesso tra i tantissimi personaggi che compaiono per poi scomparire e tornare centinaia di pagine dopo.
E quando lo stellometro libresco arriva a 2 su 5 e già immagini un “fa schifo” scolpito nel marmo di una recensione su Goodreads, ecco che DFW ti intrappola con una pagina di rara bellezza.
Usciti dal garbuglio delle prime 200 pagine, le nebbie si diradano e ci si ritrova a Boston, città nella quale si srotolano parallelamente i racconti della vita di due comunità: l’ETA, un’accademia di tennis per ragazzi e la Ennet House, struttura di recupero per tossicodipendenti. Canada, Messico e Stati Uniti sono confluiti nell’organizzazione dell’ONAN e un agguerrito gruppo di separatisti del Québec in sedie a rotelle cerca di sconfiggere il nemico statunitense usando come arma una vhs contrassegnata da uno smile che provoca a chi la guarda uno stato catatonico dal quale non si può uscire.
Ma quanto conta veramente la trama? Sicuramente molto meno del coro dei tantissimi personaggi che raccontano le loro vicissitudini.
Sono storie di dipendenza e di dolore. Che sia da tv, da farmaci o da droghe o da smania di successo, la dipendenza ha come obiettivo principale quello di distrarre i protagonisti dalla sofferenza delle loro vite.
David Foster Wallace fa ruotare la narrazione attorno al personaggio di Hal, prodigio del tennis e mente geniale, figlio di J.O. Incandenza, regista avant garde che ha prodotto il video letale. Hal racconta la sua vita, segnata dalla figura del padre che si è fatto esplodere la testa in un microonde, e pervasa dal sentimento dell’anedonia, “come se gli mancasse qualcuno che non ha mai conosciuto”.
Una voce in terza persona si alterna al racconto di Hal ma interrompe continuamente la narrazione attraverso le note: possono essere precisazioni estremamente tecniche o flashback e vicende che partono dalla storia principale e si ramificano nei modi più disparati sotto forma di mail, sceneggiature cinematografiche e composizioni farmacologiche. Il narratore onnisciente a volte sembra tradirsi e rivelare la propria identità (DFW è furbissimo a disseminare indizi e far nascere sospetti).
Alle vicende di Hal si mischiano quelle di personaggi indimenticabili.
Ladri che rubano letteralmente il cuore
(…) poteva darsi che perfino la coscienza indurita del borseggiatore reso folle dalla droga fosse stata toccata dalla protesi salvavita trovata nella borsetta della malcapitata.
guru che levitano, un agente segreto travestito da donna che intrattiene discorsi filosofici con un separatista in sedia a rotelle sulla collina di Tucson,
Scegli il tuo tempio di fanatismo con grande cura. Quello che vuoi cantare come amore tragico è un attaccamento scelto male. Morire per una persona? Questa è follia. Le persone cambiano, partono, muoiono, si ammalano. Ti lasciano, mentono, si arrabbiano, si ammalano, ti tradiscono, muoiono. La tua nazione ti sopravvive. Una causa ti sopravvive.
i ragazzini tennisti dell’ETA, Kate la tossica che fa vacillare le convinzioni dell’ennesimo medico che vuole salvarla dal suicidio.
Perché non posso più sopportare di sentirmi così neppure per un altro secondo, e i secondi continuano a passare.
Wallace scrive IJ negli anni Novanta e prevede in un modo sorprendente la dipendenza dall’intrattenimento costante dei telefoni, di Netflix e persino i filtri di Instagram.
(…) un gran numero di utenti videofonici diventarono improvvisamente riluttanti a lasciare la propria casa per comunicare di persona con coloro che, temevano, erano ormai abituati a vedere sul videofono le loro bellissime immagini mascherate e, vedendoli di persona, sarebbero stati vittima (questa era la loro fobia) della stessa delusione estetica che provocano, per esempio, certe donne sempre truccate la prima volta che sono viste senza trucco.
Ma soprattutto racconta il dolore, il panico, il sollievo toccando punte altissime di ironia. È come un film drammatico con una colonna sonora allegra.
Ci sono capitoli impossibili che mi hanno spinta a cercare un aiuto in rete trovando dei veri e propri tesori, come il video del gruppo The Decemberist che mette in scena il folle gioco dell’Eschaton, mappe per orientarsi, riassunti salvifici, film prodotti da fan e la bella introduzione a DFW del Centro Studi Americani.
Ora… perché impelagarsi in questa impresa?
Perché la dipendenza di cui si fa esperienza leggendo questo libro è proprio quella che ti impedisce di lasciarlo: da IJ non se ne esce più… e questo accade perché, una volta avuto il quadro completo, si sente il bisogno di ricominciare daccapo per afferrare tutto quello che ti è sfuggito dovendo surfare tra pagine e pagine di parole alla ricerca di un punto fermo alla fine di un periodo interminabile o al disperato recupero della nota 328 in coda al libro.
Leggere IJ è stato come passare un mese a sbrogliare una collanina ridotta a una matassa inestricabile. Alla fine guardi la catenina e i nodi sono scomparsi, vedi solo il metallo lucido e pensi che quel lavoro è stato faticoso ma che ne è valsa la pena… e quasi quasi vorresti imbrogliarla di nuovo.
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Mi guarda dalla libreria da quasi dieci anni, mi hai dato una bella spinta a riprovarci :) grazie!
Sei molto scorretta a creare questo hype per un libro di 1400 pagine, ché ho ancora i sensi di colpa dei miei continui fallimenti con Proust (non sto manco a nominarlo, quel libro). Scherzo, grazie.